di Marida Lombardo PijolaROMA - Storia di Amanda, suicida a 15 anni, e di altri nativi digitali: cybersex, cyberbullismo, cyber-adolescenze, cyber-morti
Sola. Parola definitiva, implacabile come una trappola, breve come la vita di Amanda, che in Canada si è suicidata a 15 anni, dopo aver raccontato la sua storia in un video su You Tube.
Sola: un mantra del dolore verbalizzato sui fogli che lei mostra alla telecamera, rappresentando la sua vicenda così com’è stata davvero: senza voce, muta, deformata dallo sfregio delle immagini. Le immagini del suo seno nudo di quattordicenne diffuso da un uomo che le aveva carpite in uno scambio virtuale simile a quello in cui sono impegnati quotidianamente almeno metà dei ragazzini, con la leggerezza di chi partecipa a un gioco di tendenza. E, ancora, le immagini di lei maltrattata da un gruppo di compagni, come succede ad almeno un terzo dei ragazzini, ai quali il branco ha assegnato il ruolo di perseguitati, per garantirsi l’immunità dalle persecuzioni.
Storie di cyberbullismo, di cybersex, di cyber-relazioni, di cyber-adolescenze, di cyber-vite, di cyber-morti. Storie che milioni di nativi digitali vivono ogni giorno, muovendosi in una dimensione parallela dove nessuno gli ha insegnato a muoversi
per sfruttarne al meglio le risorse straordinarie, per aggirarne le insidie micidiali. Migrati in massa in un territorio affollatissimo, promiscuo, sterminato, senza regole, né planimetrie. Soli senza guide, senza mappe, senza bussole, in un’età in cui mai bisognerebbe muoversi da soli. Soli a imparare che tra la vita e le sue rappresentazioni non c’è nessuna differenza, e che conta solo tutto ciò che può essere filmato, diffuso, esibito. E a quanti capita poi, per un motivo o per l’altro, di trovarsi a boccheggiare in quel mondo liquido, e di scoprire che nel dolore non c’è nulla di virtuale, e magari di piangerne da soli nelle loro camerette, come racconta di aver fatto Amanda?
I lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, lo sguardo irrintracciabile, lo sfondo grigio, sospeso in una terra di nessuno, tra la vita e la morte, come già era lei. E quell’agghiacciante sequenza di foglietti. In ogni foglio, Amanda illustra ai suoi coetanei i rischi di cui nessuno li ha informati , (ho cominciato a navigare a 13 anni…lui diceva che ero carina…mi ha fotografata.. si è procurato il mio indirizzo, la mia scuola, l'elenco dei miei amici..). In ogni foglio lei butta in faccia a chi legge ogni passaggio del possibile percorso successivo: tagliarsi, ansia, depressione, bere + droga.
E infine killed inside, uccisa dentro: la sensazione che “non c’è più futuro”, a 15 anni, senza che nessuno le spieghi la misura incongrua di quel numero.
Nell’ultimo foglio, le motivazioni conclusive della sentenza di morte che si è inflitta: non ho nessuno, ho bisogno di qualcuno. Un atto di accusa, che chiama in causa la sua famiglia, una generazione di famiglie, di padri e di madri analfabeti d’informatica e di accudimento. Tutti coloro i cui figli, navigando in Rete o nella vita, sebbene senza esprimerlo, avrebbero “bisogno di qualcuno”. Di non essere soli in un mondo di fantasmi veri o virtuali. Come Amanda.
Fonte: ilmessaggero.it