I datori di lavoro non possono spiare i dipendenti mentre navigano in Rete durante l'orario d'ufficio. E' questa la sentenza a sorpresa del Garante della privacy secondo cui le sempre più diffuse pratiche di monitoraggio del traffico Internet contrasterebbero con i diritti dei lavoratori e la tutela dei dati "sensibili".
Stando a quanto deciso dall'Authority, chiamata a pronunciarsi su un caso in cui una società aveva impugnato i dati di navigazione di un dipendente per una contestazione disciplinare culminata nel licenziamento, il datore di lavoro non è dunque autorizzato ad analizzare qualitativamente il traffico Web dei lavoratori prendendo nota di cookie e cache di sistema.
La decisione del Garante, secondo quanto risulta nella sentenza, sarebbe da attribuire non solo a un trattamento di dati eccedente rispetto alle finalità perseguite, ma anche a una mancata comunicazione aziendale del monitoraggio del traffico e della Rete interna. Da un punto di vista tecnico, l'intercettazione dei siti navigati dai dipendenti, può essere parificato al trattamento di dati sensibili, ovvero a informazioni idonne a rivelare convinzioni religiose, opinioni sindacali, nonché gusti attinenti alla vita sessuale.
"Non è ammesso spiare l'uso dei computer e la navigazione in Rete da parte dei lavoratori - ha spiegato Mauro Paissan, componente del Garante e relatore del provvedimento - Sono in gioco la libertà e la segretezza delle comunicazioni e le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori. Occorre inoltre tener presente che il semplice rilevamento dei siti visitati può rendere noti dati delicatissimi della persona: convinzioni religiose, opinioni politiche, appartenenza a partiti, sindacati o associazioni, stato di salute, indicazioni sulla vita sessuale". Anche in ufficio la tutela della privacy ha le sue regole.