Il termine pregiudizio (dal latino "prae", prima e "iudicium", giudizio) può assumere diversi significati, tutti in qualche modo collegati alla nozione di "giudizio prematuro" (cioè parziale e basato su argomenti insufficienti e su una loro non completa o indiretta conoscenza).
Nel linguaggio della psicologia sociale, quando si parla di pregiudizi ci si riferisce a un tipo particolare di atteggiamenti. Propriamente, sono atteggiamenti intergruppo, cioè posizioni di favore o sfavore che hanno per oggetto un gruppo, si formano nelle relazioni intergruppo e risultano largamente condivise. In psicologia sociale ci si è interessati soprattutto dei pregiudizi negativi; ma ne esistono anche di positivi e di neutrali. Il pregiudizio può essere analizzato da un punto di vista antropologico perché nasce dal comune modo di approcciarsi verso la realtà. Fa parte quindi del senso comune, che è quella forma di pensiero e di ragionamento che appartiene a una cultura e ne plasma la produzione culturale in modo inconsapevole. Si può dire anche che i pregiudizi sono culturali nel senso che variano da cultura a cultura. Ad esempio gli europei hanno determinati pregiudizi nei confronti delle qualità fisiche e psicologiche della razza nera. Molte tribù africane, all'opposto, pensano che gli europei siano portatori di stregoneria nella loro terra. Inoltre vi sono basi psicologiche perché è un pensiero che si basa sulle paure e le fobie del singolo individuo. Ad esempio, un pregiudizio può portare al razzismo, perché si ha paura dell'altro, dell'altra cultura, specie quando la si conosce poco. Dunque l'ignoranza in un determinato campo porta al pregiudizio.
Un pregiudizio è generalmente basato su una predilezione immotivata per un particolare punto di vista o una particolare ideologia. Un tale pregiudizio può ad esempio condurre ad accettare o rifiutare la verità di una dichiarazione non in base alla forza degli argomenti a supporto della dichiarazione stessa, ma in base alla corrispondenza alle proprie idee preconcette. Senza quindi alcuna riflessione.
Ciò non significa che sia necessario, prima di affrontare qualsiasi questione, liberarsi da ogni pregiudizio (Raimon Panikkar ha dimostrato l’impossibilità di una tale operazione, cui Hannah Arendt aveva già accennato alla fine del libro Le origini del totalitarismo), ma solo che di ogni proprio pregiudizio vada assunta piena consapevolezza, al fine di relativizzarne il peso e di abbandonare ogni insostenibile pretesa di verità a priori. Solo così è possibile instaurare un dialogo tra religioni diverse nel quale gli interlocutori non debbano rinunciare alle proprie più genuine e marcate posizioni: i punti di incontro non vanno trovati a scapito delle irrinunciabili e manifeste incompatibilità, e tuttavia il dialogo è possibile proprio perché nessuno crede che la propria verità renda menzogna quella dell’altro.
secondo voi, quali sono i pregiudizi piú comuni adesso?