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			Viaggio in treno con Dell’Utri: spiega racconta, si confida.  Un bilancio
"A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non  finire in galera”. Frecciarossa Milano-Roma. Marcello  Dell’Utri, senatore del Pdl condannato in primo grado a  nove anni per mafia, si addormenta, seduto al suo posto, dopo aver  mangiato un panino nella carrozza ristorante. Con lui, una guardia del  corpo. Poi squilla il telefono e Dell’Utri – faccia dimessa – si sveglia  e parla volentieri, a voce bassa.
Senatore, lei è su tutti i giornali per le dichiarazioni di  Massimo Ciancimino.
Due sono le opzioni: o mi sparo un colpo di pistola, o la prendo sul  ridere. Di certo farò un’interpellanza parlamentare per capire cosa c’è  dietro queste calunnie.
Ma cosa ci guadagna Ciancimino a dire queste cose?
Guadagna molto: intanto gli sconti di pena. La sua condanna a cinque  anni, dopo le sue prime dichiarazioni, è stata scontata a tre anni. Non è  poco: tra indulti e cose varie non avrà nessuna pena. Poi ci guadagna  la salvezza del patrimonio che il babbo gli ha lasciato. Sta tutto  all’estero.
E chi è il regista che ha interesse a favorire Ciancimino perchè  faccia i vostri nomi?
Sicuramente chi lo gestisce è lo stesso pubblico ministero che era il  mio accusatore nel processo di primo grado: questo Ingroia. Antonio  Ingroia è un fanatico, visionario, politicizzato. Fa politica,  va all’apertura dei giornali politici, ha i suoi piani. Ciancimino  padre io non l’ho mai visto né conosciuto, non ho preso il suo  posto, quindi non c’è nulla: è tutto montato. Qui c’è un’inquisizione.  C’è una persecuzione: Torquemada non mollava la sua  preda finché non la vedeva distrutta.
Però è difficile sostenere che Ciancimino, Spatuzza e tutti i  pentiti che l’hanno accusata nel corso del suo processo, siano  manovrati.
Ma questo non è un problema, Andreotti ne aveva anche di più di pentiti  che l’accusavano.
Infatti Andreotti è stato riconosciuto colpevole del reato di  associazione a delinquere (mafiosa) fino al 1980. 
 Ma la faccenda di Andreotti è complessa, io non l’ho capita bene,  bisognerebbe studiarla. Questi, i miei accusatori, sono preparati. C’è  una cordata che non finisce più, una cordata infinita.
Secondo Ciancimino il frutto della trattativa tra mafia e Stato  fu proprio Forza italia, una sua creatura.
Questo Ciancimino è uno strano. Lo sanno tutti, a Palermo. È il figlio  scemo della famiglia Ciancimino.
Non ha l’aria tanto scema.
Non scemo, diciamo che è uno particolarmente labile. Ha un fratello, a  Milano, che è una persona dignitosissima, infatti non parla neanche.  Tutti sanno invece che questo [Massimo Ciancimino, ndr] è un figlio un  po’ debosciato: gli piacciono le macchine, i soldi. E’ capace di fare  qualunque cosa.
Anche il pentito Gaspare Spatuzza dice che tra lei, Berlusconi e  i fratelli Graviano è stato raggiunto un accordo.
Ma di che parliamo? Falsità, calunnie. Sono tutte persone che hanno  davanti anni di galera, è da capire. Salvano la loro pelle.
Paolo Borsellino parla di lei e di Berlusconi nell’ultima  intervista che ha rilasciato prima di essere ucciso.
Era un’intervista manomessa, manipolata. Quando l’abbiamo vista per  intero [nel dvd allegato al Fatto Quotidiano, ndr] abbiamo capito come  stavano le cose. Risulta chiaro che Vittorio Mangano non c’entrava  niente: quando parlava di cavalli, intendeva cavalli veri.
Però secondo Borsellino quando si parlava di cavalli ci si  riferiva a partite di eroina.
Nel gergo può essere, ma in quella circostanza si trattava di  cavalli veri. Ho fornito le prove: era un cavallo, con un pedigree,  che si chiamava Epoca.
Mangano però parlava anche di un cavallo e mezzo...
Questo era un linguaggio che aveva con altri, con un certo Inzerillo,  non con me. Lì "un cavallo e mezzo" era evidentemente una partita di  droga.
Capisce che alla gente può sembrare strano che lei dia dell’eroe  a uno che, anche a suo dire, trafficava eroina?
Certo, come no, capisco tutto. Ma io non ho detto che è un eroe in senso  assoluto. È il mio eroe!
E lei ha mantenuto i contatti con Mangano anche dopo che è  uscito di galera, quando erano ormai noti i reati che aveva commesso.
Ho tenuto i contatti, certo, l’ho detto. La mia tranquillità nasce dal  fatto che non ho niente di cui vergognarmi.
Berlusconi è arrabbiato con lei?
No, perché? Mi conosce bene.
Neanche un po’ infastidito da tutti i problemi che gli causa?
Io? Che c’entro io? L’ha voluta lui Forza Italia. Io ho solo eseguito  quello che era un disegno voluto dal presidente Berlusconi. Non posso  arrogarmi meriti che non ho.
Non sente una responsabilità, visto il suo ruolo politico?
Io sono un politico per legittima difesa. A me della politica non frega  niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Quando nel 1994 si  fondò Forza Italia e si fecero le prime elezioni, le candidature le feci  io: non mi sono candidato perché non avevo interesse a fare il  deputato.
Poi, nel 1995, l’hanno arrestata per false fatture.
Mi candidai alle elezioni del 1996 per proteggermi. Infatti, subito  dopo, è arrivato il mandato d’arresto.
E la Camera l’ha respinto. Ma le sembra un bel modo di usare la  politica?
No, assolutamente. È assurdo, brutto. Speriamo cambi tutto al più  presto! Ma non c’era altro da fare...
Perché non si difende fuori dal Parlamento?
Mi difendo anche fuori.
Perché non soltanto fuori?
Non sono mica cretino! Mi devo difendere o no? Quelli mi arrestano!
Se arrestano me cosa faccio, mi candido anch’io?
Ma a lei perché dovrebbero arrestarla? E poi a lei non la candida  nessuno, quindi non si preoccupi. Io potevo candidarmi e l’ho fatto.
Ha fatto anche i circoli del Buon governo.
Si figuri che non abbiamo neanche più i telefoni perché non avendo più  risorse per pagarli sono stati, diciamo, tagliati.
Voi non avete più risorse?
Sì, sì. Così è. Adesso lasciamo l’affitto della sede di via del Tritone a  Roma perché non riusciamo più a mantenerlo.
E il Pdl non vi sovvenziona?
Il Pdl è avverso ai circoli: è fatto di persone che hanno preso il  potere e hanno paura di chiunque sia migliore di loro.
Che fa se la condannano in appello?
Vado in Cassazione!
Non si dimette?
Ma sta scherzando? 
E se la condannano in Cassazione?
Eh lì vado in galera. A quel punto mi dimetto.
Da il Fatto Quotidiano del 10 febbraio