un nuovo delirio....

Cosa è la volontà se non il nostro unico argine al destino?
Esiste un destino che si lasci dimezzare dalla nostra intenzione di schiamazzare un attimo davanti alla grande onda che sommerge?
Esiste qualcuno a percepire il nostro grido scomparso nel frastuono della folla elementare, che è un vorticare di atomi attorno ad atomi attorno ad atomi di atomi?
La volontà.
Comunque sia, io do l’acqua alle piante, ogni mattina.
Con costanza, pazienza, parlando con me stesso e con il mio silenzio. C’è il giorno che nasce, appena oltre il parapetto; c’è una riposante disposizione geometrica dei vasi.
La mia volontà vi è vicina, e altro non so dirvi, giovani piante: so cosa fare e lo faccio; per voi sono soltanto fonte di vita, trasparente, automatica, ineluttabile; sono vita, sono voi, sono la mia mano che v’annaffia. Il vostro destino è la mia scelta, ed essa è così piccola da vincolare esclusivamente il vostro rigoglio o la vostra morte.
Il destino v’attende e attende me che v’attendo.
Ci scontriamo o sfioriamo, d’odio o amore, d’indifferenza o partecipazione.
Piante, nel mio destino, in me che sono il mio destino ancora da scoprire, in piccola parte.

Il destino forse è attenzione: l’attenzione che mettiamo nei gesti.
Un uomo sprovvisto di cura è sprovvisto di destino, atteso da qualcosa che non può distrarsi e non l’attende. Il futuro è una scatola di dimensioni date e la si può calcolare agilmente in relazione al passato.
Stacci dentro, destino, perché io calo il coperchio, nella certezza che il movimento dei corpi celesti non mi dimenticherà. Perché nella insondabile voragine dello spazio profondo, nessuno m’attende.
Nel mio non-presente senza vista sul futuro che non sia la scatola (dentro cui è contenuto un passato che s’erode a contatto con gl’ingranaggi del moto) nessuno può torcermi un capello.
Nessuno può, se non ho capelli.
E se li avessi avuti avrei dovuto lavarli, e tagliarli e dar loro un aspetto decente. Ciò non è.
E così, quanto lievi scorrono questi giorni senza strepito, senza forfora, senza siccità né alluvioni.
Prendiamo il sole, dosiamo gli sforzi e la clorofilla, attendiamo l’alba non dandoci noia però l’avvento della sera e poi della notte e poi del sonno ch’è dei giusti.
E siamo giusti, perché non siamo sbagliati.
Non ci mettiamo neppure in condizione di commettere un errore.
Fatalisti.
Comunque vada, così doveva andare, ed in più, guardandoci negli occhi (per qualche riflesso che non sappiamo ben dire) nulla rimpiangiamo.
Guardandoti negli occhi vedo degli occhi, di cui m’attendo il batter delle ciglia, e anzi lo aspetto, forse sorprendendomi di quanto tardi.
Forse ti sto dicendo che ti vedo nella tua essenza: la tua altezza, l’ incarnato, i capelli, il tono di voce. E avendoti così chiara davanti agli occhi e sapendo chi sei, io non ti cerco, come non cerco i miei occhi mentre guardo, i miei capelli mentre li riavvio.
Sei nella mia vita, che tende alla perfezione, e così all’improvviso sento di amarti ancora.
Sento che il tempo è un affare disgustoso e per questo vorrei afferrare un paio di forbici e dartele in viso; perderti, allontanarti, rischiarti verso qualcosa che sia vivo.
Ma non oserei.
Penso che in fondo sia destino averti amata così a lungo e così intensamente. Che sia destino per la svogliata, fragile vita che avviene nel tempo non poter pareggiare questo dolore di quell’amore, quel dolore di questo amore, avvenuto fuori dal tempo.
Privarsi di continuare? E a partire da quando, se ancora oggi io bestemmio l’ambiguità di questo momento che vorrebbe perpetuamente disconoscersi?

Dov’è la volontà? Dov’è nascosta e quali sono le sue coordinate rispetto al destino?
E’ vero certo che se vedo il destino allora il destino è fuori dalla mia finestra e dal mio tempo.
Ogni concetto non è forse l’ibernazione perenne della vita che lo generò?
Ed ecco che il destino è il più freddo dei concetti e il più da lungi conservato: gli piove addosso acqua e poi grandine e poi neve, e poi piove ancora sui vivi e sui morti, accomunati da questo dono vigliacco e piove su di noi come piovve sul povero Cesare, ridotto a fango, che scorse in una canaletta di sangue verso il mare immemore.
Ti tenderò la mano? Ti lascerò andare?
Non abbiamo destino. E’ il nostro destino, lo sai.

e che è un monologo? ho letto le prime 6 righe.. belle, ma 2 palle dopo un po :D

Quote:

Originariamente inviata da Verdy

e che è un monologo? ho letto le prime 6 righe.. belle, ma 2 palle dopo un po :D

eravate avvisati : i miei testi sono delirii 8)

:| beh ho notato :D :kiss:

Quote:

Originariamente inviata da Verdy

e che è un monologo? ho letto le prime 6 righe.. belle, ma 2 palle dopo un po :D

quoto :D