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Rosa dei Venti
Ormai è passato un anno da quando ne scrivevo la maggior parte; poi stamattina mi son ancora sognato quella per cui la scrissi. Se vi piacerà -a me non piace più affatto- vi dirò anche della storia che è succeduta alla sua pubblicazione. Qui la scrivo nelle stesse dimensioni e caratteri con cui l'ho esposta :)
Ed ora ti offro i miei fiori d’ortica,
i soli colti da una tristezza antica
nel mio mondo che non ti volli svelare
ch’è di ciottoli rosi in riva al mare.
Ti offro un indegno e dolente dono,
sì che il vero saprai di come io sono.
Devo cantarti di un amare senza
diritti, che mi strappò arrogante
dal torpore da giorno di Levante,
che del bene mi mostrò l’essenza
nella comunione di spiriti affini,
ma che del silenzio i duri confini
non avrebbe mai dovuto varcare,
se voleva potersi dire vero amare.
Fuggito lui dal non detto nascosto,
fuggo da te in colpa, non cercarmi,
violato il codice che m’ero imposto,
perdo la guerra, depongo le armi.
Quando ti vidi, fosti da subito
“Lei, l’impossibile che rattrista”
-penserai: amore a prima vista-
forse; che fosse male non dubito,
pur lo sapevo, una Rosa dei Venti
quale sei, passioni di Maestrale
farà rafficare nel mio essere frale
con te stando, e poi, te lontana,
saran rigori grigi di Tramontana.
Conoscerai tu, ma forse non senti,
la solarità d’alba che sugli inermi
animi emani, delicata, illumini
di color vita noi spenti uomini
e mortali, nel decader ci fermi.
L’amarti è stata la dannata eclisse
che la tua pura luce ha fatto scura,
sì che non posso guardarti per paura
di cader accecato. Vorrei venisse,
il tempo delle idee limpide e fisse,
e farmi contro il male un’armatura.
Ma sradicar l’amore è cosa dura
con vacue parole di filosofie prolisse.
Sempre seppi che non eri stella sola,
splendevi assoluta, te, innamorata,
ed eri amata. Ma l’amore se ne frega
di tutto quel che bontà mia gli prega
e nasce malerba su sabbia salata:
la pace, cos’era? Persa fu la parola.
“Ovunque l’eco, l’ombra ed il profumo
di te: in questo tuo cosmo mi consumo,
ché io sarò un mondo, sì, ma perso
in un angolino del tuo Universo”
Il tuo vento di violetta ed incenso
ritrovavo in Scirocco caldo e denso,
iride del tuo occhio la Terra intera,
tuo respiro era l’aria della sera.
Che io non possa né potrei farti felice
l’ho sempre saputo, Imperatrice
del rinnegato reame del mio sogno:
sognarti fu colpa, me ne vergogno,
ma se il giorno rinnego, poi la notte
il mio animo salpa per tutt’altre rotte,
per prendermi perso al largo del mattino
schifato da vita, me stesso e destino.
Venne la candida calma del Maggio,
senza tramonto scomparve il tuo raggio;
Donarti una lacrima per ogni passo
solitario, passato e futuro, volevo:
non potei. Avevo patito ormai tanto,
che secca già era la fonte del pianto,
l’ultimo, povero, dei deboli sollievo:
cercai l‘oblio nel viver più basso.
Ancor pioviggina fine un dolore
su di me, anche col sole: l’amore.
Così bagnato, slavato e sfatto
ne son, che male più non sento:
solitudine, apatia, per voi son male,
per me compagne d’una vita normale.
Eppur le illusioni muoiono a stento,
per garantirmi il dispiacere tratto
dal perdurare che prende senso
nell’irraggiungibile: te. Ti penso
così astratta dal mio squallore:
l’amore, per te, non è traditore,
tu ami, non me, ma che importa?
Sei felice, e la mia via contorta
mi dice che il tuo bene è il fine
ultimo ed unico del mio amarti.
Un bene che io non potrei darti
se non nell’assenza. Mille mattine
per te ho sedato i moti del cuore,
per il tuo bene, il mio perdendo:
“Tutto è perduto, fuorché l’onore.
Non rimpiango se così mi spendo.”
Ora il tuo sguardo ha illuminato
questo pensiero d’amore malnato:
ho fatto torto a te e a me stesso,
ora non più tuo cavalier servente
serbante il vero amare nella mente.
La vendetta dell’amor oppresso
è strapparmi l’ultima mia nobiltà,
cedere, dichiararsi è sempre viltà
per me: con te, è stato un delitto,
errore d’un pensare troppo fitto.
Non son che una luce di candela,
che corta trema, vacilla e scende,
che vaneggia di rischiarare il Sole,
e d’onorarlo con nullità pretende,
pur sa il suo esser niente e si duole
per il male del suo sogno sotto vela.
Se d’amar il dovere col vivere venne,
d’esser amato non mi fu dato diritto:
in scialbatura il mio libro sta scritto,
inchiostro incolore di spuntate penne:
e non temere, che il mio poetare,
è la truffa di far sembrare eroico
il mio esercito di difetti. Stoico,
tu leggilo: inabile ad amare.
Che tu perdoni io chiedo e voglio
la mia follia. Non potevo non ardire,
un solo sfuggito lamento d’orgoglio,
per dare un senso al passato patire.
E questa sia la fine della storia,
qui si tace il mio canto stonato:
non certo con esso cerco la gloria
ma col poter dire, sereno: ho amato.
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Nemmeno un commentino? :oops: Volevo sapere se dovessi rimpiangere o no di averla gettata al vento
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Mi è piaciuta; bello il paragone con i venti.
In alcuni punti ho trovato un pò difficile la lettura,ma in compenso i primi quattro versi son meravigliosi.
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E' curioso, è proprio vero che ognuno ci può vedere quel che vuole secondo la sua sensibilità: fra l'altro l'ultimo verso della prima quartina è una vera e propria "zeppa", l'avevo messo solo perché mi serviva qualcosa che rimasse con -svelare
e non è finita qui; l'espressione -tristezza antica- non è farina del mio sacco, l'ho rubata ad Hugo Pratt :(
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Molto bella, però ci sono dei punti in cui è un po' difficile non perdere il filo.
Però è bella, anche perchè, da quello che ho capito, non è assolutamente scritta "a caso" ma evoca qualcosa, meglio, qualcuno.
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Grazie del commento :) Credevo fosse già finita nel dimenticatoio :D
E' vero che nella sua struttura generale doveva essere il racconto di una storia, perché volevo che servisse per raccontare a chi doveva leggerla quel che avevo passato per merito/colpa sua, e nel contempo per chiudere, per dire, in parafrasi riassunta: "Ti ho tanto amata, ma sapendo che stavi già con un altro, per il tuo bene qui mi dichiaro e qui ti dico addio."
Direi che per questo, una decina di versi fondamentali potevano bastare, ma volevo una poesia-fiume, per compensare la scarsa qualità con la quantità :oops:
Potrei dire che il filo lo si perde apposta leggendola, perché ho voluto ricreare la confusione dei sentimenti e fare in modo che anche il lettore si perdesse in questo fiume che era immagine di quello che mi aveva travolto: ma credo che mentirei, il filo lo si perde perché in fondo è un collage di versi sparsi che avevo scritto tempo prima, martellati dentro questo flusso, i più importanti dei quali sono inalterati tra virgolette, tranne la frase
Tutto è perduto, fuorché l’onore.
che è la famosa citazione di Francesco I dopo la battaglia di Pavia :lol:
Come hai indovinato, non è generica ma è scritta per un'occasione ed una persona ben precisa: questo però mi è stato rimproverato dal mio prof all'università, che mi ha fatto notare come i Poeti scrivano partendo dal loro particolare, ma per trasmettere messaggi universali; gli ho dato ragione, ma tutto quel che speravo avere con questo imbroglio era al più un primo ed ultimo bacio dalla dedicataria, non certo il Nobel per la letteratura... del resto ho ammesso pubblicamente che fa pietà :lol:
il mio canto stonato
E' riferito alla qualità dei versi :)
Ci sono alcuni riferimenti puntuali a fatti della nostra "storia" che sapevo lei avrebbe saputo individuare, specie il Maggio che sarebbe quello dopo il primo anno all'università, in cui i eravamo conosciuti, quando la lasciai per tutta l'estate; la parafrasi del banalissimo passaggio era che, senza di lei, vivevo da abbrutito :P Il presente della narrazione è invece atemporale e senza riferimenti, perché dovevo potergliela far leggere in qualsiasi momento.
Avevo cercato di ottenere uniformità metrica ma sono negato nel contare ed arrangiare le sillabe, così ci sono versi d'ogni misura, con una certa predilezione per quelli di 13 sillabe, una mostruosità che scelsi per numerologia; certo avrei preferito avere solo endecasillabi, ma non sono mica un poeta io :lol:
Quel che mi interessava di più era avere un ritmo, perché è il ritmo il valore fondante della forma poetica: e sempre il mio prof mecenate mi aveva detto che, anche se non erano endecasillabi, ne davano l'illusione. Di certo l'effetto tipografico dell'insieme mi piaceva, perché aveva alternanze di creste e di cavi come le onde del mare :)
Sulle rime, lo schema è quasi completamente casuale, ma garantisco che ogni verso rima con un'altro, anche se a volte molto distante; fra il casino ho trovato il modo di nasconderci i 14 versi di un sonetto (schema ABBA ABBA CDE EDC), a voi di trovarlo se vi incuriosisce ;)
PS importante: questa poesia andrebbe letta ascoltando il brano per pianoforte "Nuvole bianche" di Ludovico Einaudi, che era quello che ascoltavo mentre la scrivevo. A buon intenditore...