Le cicale uccidono piu’ del fumo
Infuocato sabato pomeriggio di fine Luglio. Jimmy è liquefatto sul letto della sua stanza.
Nudo - e non per sudaticce pratiche di autoamore: è un semplice tentativo di sedurre un qualche refolo di vento un po’ checca.
L’aspetta una lunga serata da cameriere al ‘Pizz&fichi’ di Jesi.
Si rolla una canna; allunga la mano sul comodino e raccatta un libro prestato da un amico: un’antologia di esordienti, c’è anche un suo racconto. L’editore scout Giulio Perne ha calamitato un nugolo di scritti sul tema del fumo. Inteso come sigaretta, ci mancherebbe.
Due tiri al cannolo farcito d’erba; poi apre a caso:
LE CICALE UCCIDONO PIU’ DEL FUMO.
c***o di titolo … La lettura marcia al passo di golose tirate dal cannone.
“L’esempio trascina!” – tuonò dentro di sé Ivo Baldis. “Mio figlio non riesce a smettere di fumare? Smetterò io prima di lui!”.
A decisione presa, si sentì più sereno. Chiese al tabaccaio un pacchetto di sigarette.
“Marca?”
“E’ uguale, io non fumo”.
Già: perché il figlio potesse smettere, lui doveva imparare a fumare. A 50 anni suonati …. Le uniche sigarette fumate risalivano a circa trent'anni prima. Amici che tutti fumavano; lui no, unico.
A volte il sabato ci scappava la bisboccia, con quel rosso che appannava i sentimenti. Poi, invece di rischiare l’obitorio su strade poco tolleranti verso l’alcol, si andavano a stravaccare sull’erba in riva al lago, in una zona morta. A scrutare il cielo e cantare.”
Jimmy sbatte sul letto il libro aperto. Va alla finestra imprecando fottute cicale mi sghignazzano in faccia perché io devo lavorare anziché andare al mare e loro lì a far niente tutto il giorno tutti i giorni. T*o*e peggio delle sirene di Ulisse. Chiude la finestra, abbassa le tapparelle. Schiaffa un CD nel lettore, torna al racconto. Un paio di volte perde il filo: fumo, caldo, stanchezza …
“Una domenica mattina, gli amici chiesero com’era andata la notte dopo aver fumato quattro sigarette. “Io?! Mi prendete per il culo, dai.”
No, aveva proprio fumato; magari non se ne ricordava per via di quel po’ di rosso bevuto a canna ….
Non ricordava niente – e niente ricordava la domenica dopo: questa volta, ne aveva fumato cinque. Realizzò così quanto il fumo fosse davvero nocivo, se rendeva smemorati a quel modo. Non fumò mai più. Smise anche di bere il rosso a canna: molto più comodo il bicchiere.
Insensibile al fascino del fumo attivo, aveva un pessimo rapporto anche con quello passivo. Avvertiva quasi una istintiva repulsione verso le donne che fumavano: fosse l’alito che non prometteva niente di buono, vedeva scritto in fronte alla sciagurata ‘NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE’.
Ci fu però Nadia: anche se lei era una discreta fumatrice, bevve dal suo calice. Sarà stato che era la prima a dargliela – e non si pensi subito, con facile ironia, alla sigaretta. Quando però le sciorinava in bocca la lingua, VEDEVA miriadi di particelle di nicotina foderare mortalmente la sua viscida appendice. Non durò molto, com’era naturale: lei lo lasciò dopo pochi mesi.
Fosse la repulsione per il fumo, fosse la sua innata sobrietà, dopo quella storia non ne ebbe altre, fino al matrimonio. Del resto non ne aveva avute altre prima di quella.
Com’era nell’ordine delle cose, sposò un’accanita ex fumatrice. In poco tempo, finì col non vedersi più con i vecchi amici ‘schiavi del vizio’, come li aveva definiti il suo angelo del focolare. Fu costretto a quel passo per non sentirla più ringhiare ogni volta che si teneva un raduno enogastronomico: che lui puzzava di fumo come avesse fumato e pure l’alito aveva appestato e gli abiti doveva metterli all’aria aperta per un paio di giorni prima che perdessero quel fetore nicotinico e la prossima volta avrebbe dovuto svestirsi all’aperto prima di entrare in casa e quando sarebbe rimasta vedova (doverosa toccatina agli amuleti) avrebbe chiesto i danni a quei debosciati.
Sarà pure il fumo a uccidere, pensava, ma …..!”
“Sembra la puzza bollente di quando asfaltano le strade”, soffia da dietro la mascherina uno dei vigili del fuoco entrati nella stanza dopo aver sfondato la porta. Hanno chiamato i vicini, allarmati dal fumo nerastro e fetente che filtrava sotto la porta. Jimmy è sul letto, come l’avevamo lasciato: ha gli occhi chiusi, il libro, sempre aperto a pancia in giù, appoggiato sul torace.
Morto.
Per asfissia, come ha sentenziato il medico legale subito accorso: il giovane, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (“lo sentite questo odore dolcemente acre?”) si è addormentato di brutto, lasciando cadere la ‘sigaretta’ (come pronuncia le virgolette!) sul materasso. La squallida materia prima sintetica (i materassi cinesi costano davvero pochissimo ….) non si è incendiata ma ha preso a consumarsi lentamente, esalando un gas letale. Porta e finestre chiuse hanno fatto il resto.
Il vigile del fuoco solleva il libro, velato di fumo; legge dove Jimmy stava leggendo:
“Si alza nervoso e va alla finestra imprecando fottute cicale mi sghignazzano in faccia perché io devo lavorare anziché andare al mare e loro lì a far niente tutto il giorno tutti i giorni.”
Ne uccide più l’invidia che il fumo, pensa dolorosamente il giovane vigile; chiuso in bagno, tira peccaminose boccate dal mozzicone di ‘canna’ raccolto sul letto.
Jim Morrison – nessuno l’ha zittito – modula conturbanti istigazioni alla piromania funeraria:
“Try now we can only lose
And our love become a funeral pyre
Come on baby, light my fire
Come on baby, light my fire
Try to set the night on fire, yeah”.